Mondadori
Milano
1973
Più che la diserzione, la vena tematica fluente in questo libro è l’impenitenza. In che cosa possiamo distinguere l’una dall’altra? Si sostanziano entrambe di un rifiuto; ma la diserzione nell’ordine del fare, l’impenitenza nell’ordine dell’essere; la prima si conclude in un gesto, la seconda ha la durata di una condizione; nel disertore risplende il coraggio del rifiuto, nell’impenitente la sfida dell’orgoglio e della pazienza. La diserzione è una scelta di campo, la scelta di abbandonare un ingiusto campo; l’impenitenza fronteggia senza limiti un nemico presente. L’una è in qualche misura, una fuga; l’altra è una resistenza, un oltraggio continuato. Infine la diserzione, rifiutando un sistema e optando per altro da quel sistema, rivela una natura fattuale, laica; l’impenitenza, rifiutando il codice stesso da cui promana, nel sistema, il giudizio morale, afferma la natura religiosa della libertà della speranza, e corre a testa alta il rischio dell’empietà. Sfida, orgoglio, pazienza, libertà, oltraggio, speranza sono le note dominanti nei versi di Raffaele Crovi. I quali non soltanto indicano la riconciliazione, in atto da Giovanni XXIII in poi, tra i cattolici e la storia («la salvezza è per chi vive la storia»), ma compiono, all’interno di quella riconciliazione, un passo più sottilmente decisivo: la stipula di un’audace alleanza tra contestazione e saggezza. È qui, mi sembra, che il Crovi trova il suo timbro originale: da un lato, quell’alleanza gli consente una fedeltà completa alla tradizione contadino-cattolica da cui nasce, da un altro lato gli fa assaporare il gusto acre di una libertà violenta, da un altro lato ancora eccita in lui la virtù popolana della malizia. Non vorrei nascondermi il rischio connaturato a una simile ispirazione, almeno nella misura in cui essa intendesse proporsi come «operazione culturale»: il rischio di raffigurare la poesia della libertà come uno strapaese dell’anima. Ma il Crovi ha dentro di sé tanto di coerente passione, tanto di fuoco vivo, da illuminare senza compromessi la propria ardente metafora. Il proverbio, l’epigramma, la cadenza popolaresca sono in lui sempre le battute di risposta, il martellato dialogo, che emergono in replica a un discorso molto più ampio: «la virtù di non amare» a cui intende educarsi è un’impenitenza amara.
Geno Pampaloni